Equilibrio

GIACOMO TAMAGNINI

Osservando l’universo in ogni suo angolo, indagandolo da un punto di vista sia empirico  che teorico-formale, pare che ogni cosa al suo interno sia alla ricerca di equilibrio, se  ancora non l’ha trovato: il moto costante e sublime dei pianeti, l’inviolabile armonia degli ecosistemi, la perfezione delle leggi intangibili nel descrivere l’universo con un distacco disarmante dal reale,  tendente al divino. Nella stessa fisiologia dei viventi l’equilibrio risulta pressoché inviolabile: la ricerca di  omeostasi, concetto innato e necessario ad ogni organismo per garantirne la condizione  fisiologica, altro non è che il mantenimento costante dei valori corporei (temperatura, PH, concentrazioni saline…). La perdita di omeostasi, e quindi di equilibrio, genera malattia,  e la conseguente morte del vivente se i valori violati non vengono corretti in tempi brevi. Notiamo la ricerca di equilibrio anche nelle tendenze mentali delle persone che, specie se  di età avanzata, si pongono generalmente in ideologie conservatrici, perché il  cambiamento inteso come evoluzione di strutture politiche, sociali, mentali ed  introspettive, è spesso visto come un pericolo per i propri equilibri. Ne fanno da esempio  gli illuministi che, se in un primo momento saturo di valori rivoluzionari hanno eradicato ideologie dogmatiche conservatrici, quando hanno poi raggiunto la collettività con la  proprio filosofia, si sono posti a loro volta come conservatori a seguito della compara dei  movimenti rimantico-sentimentali. Si nota quindi in questo esempio come la sovversione  di equilibri (che in questo caso si identificano nel passaggio da cultura “dogmatica”, a  cultura illuministica e infine romantica) sia osteggiato dalla naturale conformazione  mentale umana.  Si assiste quindi ad una sorta di attaccamento morboso dell’umano nei confronti di tutti  quei valori ne che hanno determinato la stabilità fino ad allora. Azzarderei che tali attitudini possano essere figlie di comportamenti ancestrali premiati dalla macchina  evolutiva darwiniana, che ha favorito le civiltà propense all’equilibrio sociale ed  individuale.  Ma possiamo notare anche come la ricerca e il mantenimento di equilibrio siano valori  insiti in processi universali, oltre che in quelli specifici. L’ormai affermato aumento costante di entropia (ovvero la misura del “disordine”)  nell’universo, risponde ossimoricamente ad una legge elegante che sta alla base degli  equilibri nel cosmo. Secondo questa visione degli andamenti universali, è quindi il momento di squilibrio ad  essere anomalo. O meglio, il momento di squilibrio si traduce in momento di sovversione  di un primo equilibrio a cui ne seguirà un secondo, frutto del processo sovversivo.  Nei casi specifici che analizzerò, gli equilibri in fase di sovversione sono quello tra uomo e ambiente, inteso come ecosistema, e quello tra uomo e uomo o, semplificando, tra società e società, tra popolo e popolo. Procedendo con ordine: come si mantiene l’equilibrio umano-ambiente? L’ecosistema è un macchinario estremamente complesso, dove un mutamento specifico si propaga spesso come mutamento universale. Sono ormai diversi anni che si parla di  preservare gli ecosistemi. L’umano divinizzato viene posto quasi come guardiano degli  stessi, in una visione antropocentrica che rimanda quasi ad un complesso di  onnipotenza. La verità più profonda è che l’uomo ne fa parte, non ne è al di sopra.  Subisce passivamente come ogni specie le conseguenze degli squilibri nell’ecosistema.  L’unica cosa che lo rende speciale e, forse, simile ad un dio, è che gli squilibri è spesso  lui a provocarli. È un dio molto potente. Un dio che, anche se non lo sa, non può fuggire  dalla barca che decide di boicottare, affondandola. Un dio stupido, ma anche un dio  spaventosamente mortale. Lo spiega bene Jared Diamond. Uno dei suoi libri, “Collasso”, è un trattato  eccezionalmente (e preoccupantemente) accurato in cui l’autore si fa portavoce di un  concetto la cui importanza è internazionalmente riconosciuta: la memoria. La storia grida all’uomo i suoi errori passati, narrazioni tragiche di persone, idee e civiltà. E l’uomo ha il dovere morale di ascoltarla, ascoltarla con attenzione e prendere nota. È  proprio in funzione di questo che Diamond espone al lettore come, di fatto, il collasso di  intere civiltà sia strettamente collegato a quello dell’ecosistema circostante. La  popolazione polinesiana dell’isola di Pasqua e la prima civiltà insediatasi in Groenlandia  sono solamente due degli esempi che l’autore studia per valutare come il topico ed  eccessivo sfruttamento di risorse da parte dell’uomo (e la conseguente alterazione degli  equilibri nell’ecosistema), abbia portato alla locale estinzione delle attività umane.  Ed ecco che risulta quindi evidente come sia l’uomo a dipendere dall’ecosistema piuttosto che il contrario. Ma più ne è consapevole, e più sarà in grado di rimediare alle situazioni  di squilibrio ambientale. Perché per l’uomo gli atti egocentrici risultano più comodi di  quelli disinteressati. La mia personale convinzione è che gli sbilanciamenti a livello ambientale siano, per  quanto gravi, risanabili. È solamente necessario che l’uomo sia aperto a dei sacrifici  momentanei utili al raggiungimento di una ricompensa a lungo termine, che non si risolve in altro se non nel semplice perpetuarsi della specie umana.  E sono convinto di questo perché di problemi l’umanità ne ha sempre avuti. Un  imprenditore dell’epoca vittoriana non avrebbe nemmeno potuto immaginare che fosse  possibile il raggiungimento della ricchezza senza l’impiego di lavoro minorile o turni  disumani per i propri operai. Eppure il mondo è cambiato, si sono rese necessarie  riforme e la struttura del lavoro è stata reinventata. Attività obsolete e conservatrici sono  cadute in fallimento a favore di quelle che hanno saputo riorganizzarsi. Allo stesso modo  si presenta ora necessario un cambiamento. La struttura del mondo adesso non deve  mutare per il bene del singolo lavoratore, ma per quello dell’ecosistema globale che  include tutti. Con le dovute scelte politiche, sostenute da un’opinione pubblica  favorevole, il sistema delle produzioni potrà sempre più avvicinarsi verso il cosiddetto  futuro “carbon free”. Ciò che manca è quindi l’interesse collettivo. Lo stesso interesse che ha portato i sopracitati operai alla protesta, alla rivolta e al sacrificio. Ma in questo caso non è una classe in lotta con le altre. È l’uomo in lotta con l’uomo, in una casa che  brucia mentre tutti, o quasi, dormono. È così che, a mio parere, è possibile tentare di ricomporre l’equilibrio uomo-ecosistema,  ma facendo un passo indietro, come si genera invece l’equilibrio tra uomo e uomo? L’attuale condizione globale è determinata dagli avvenimenti passati dove, in una visione  eurocentrica (che si è poi ampliata con l’inserimento del continente nord-americano), le  disparità tra popoli a livello intellettivo e culturale era affermata. Tale visione non era totalmente errata: è oramai riconosciuto come le facoltà intellettive  tra i diversi popoli ed etnie siano prossime all’equivalenza. Ma il successo evolutivo della  specie umana è attribuibile in larghissima parte alla capacità di trasmissione della  cultura, intesa come sapere, tra individui e generazioni. Risulta quindi incontestabile il  fatto che una civiltà il cui sapere generale ha raggiunto un dato livello, sia avvantaggiata  se rapportata ad un’altra che non ha invece conseguito tale risultato culturale. È quindi a seguito di tale fatto che la cultura eurocentrica si è diffusa attraverso un  modello Kiplingiano. La conseguenza profonda del tutto è la situazione geopolitica globale che osserviamo  oggi. I paesi europei e, più in generale, quelli occidentali, hanno raggiunto conformazioni  politiche e sociali che gli altri possono solamente osservare da lontano. Perché la cultura  e il sapere, se pur più uniformi, non sono ancora universali e i paesi meno sviluppati  devono ancora effettuare i mutamenti socio-politici che in occidente sono già avvenuti.  Tali differenti ripiegamenti politici vengono riflessi nei processi di produzione, innescando le disparità sociali di cui siamo testimoni. Ed è da questi ragionamenti che nasce il problema: come si mantiene un equilibrio che  storicamente non c’è mai stato? La domanda è retorica e, ovviamente, non si può  ottenere un risultato del genere; tale equilibrio è quindi da generare. Da zero.  La situazione si fa complessa ed è aggravata dal fatto che lo squilibrio tra società diverse  è una generalizzazione: alla base c’è lo squilibrio tra uomini. La sbilanciata distribuzione  delle ricchezze non interessa solamente le civiltà dal primo al quarto mondo, ma anche i singoli individui, e una soluzione in questi termini coinvolgerebbe teorie politiche  filomarxiste (e non solo) che difficilmente sarei in grado di esporre e, tanto meno,  formulare. Ciò che è sicuro è che lo squilibrio sociale esiste e genera problematiche di matrice  umanitaria, coinvolgendo, da una parte o dall’altra, ogni paese del globo. Un mondo  senza di esse sarebbe utopico, ma, d’altronde, l’utopia non ritrae proprio un mondo privo di problemi? Concludendo, se da una parte si ha quindi come dovere (sia morale che utilitaristico) il  ristabilimento di un equilibrio, dall’altra l’equilibrio è necessario generarlo da zero. Ciò  che rimane certo, è che vincere queste sfide non è una scelta, perché nella visione  antropoteistica della civiltà moderna, il dio è mortale.