Sara Ussia
“La gente ha paura di dire quello che pensa, perchè se ne vergogna. “
Trovo che questa frase sia in grado di restituire perfettamente il riassunto del passo di “La
perfetta storia d’amore di due persone che si sfiorano senza toccarsi mai” presentato.
Il testo tocca, a mio parere, alcuni tra i temi piú complessi della storia dell’umanità civilizzata;
il tema degli esclusi, degli incompresi, della comunicazione, dell’infelicità e del cambiamento.
Gli emarginati, da sempre, sono presentati come “le ombre della società, coloro che
generalmente non vediamo, ma di cui percepiamo la presenza e ignoriamo o giudichiamo
negativamente, ma di cui poco dopo ci dimentichiamo, essenzialmente mossi da un
sentimento di compassione nei loro confronti.
Al contrario, a me piace immaginarli come delle sorta di superuomini nietzschiani, che
vivono la loro posizione precaria di esclusi con totale consapevolezza e possiedono la
volontà di distaccarsi da ciò a cui sentono di non appartenere. I nomi di questi “superuomini”
si trovano ovunque nella storia e nei piú variegati campi del sapere e sono coloro che hanno
ispirato i cambiamenti socio-culturali più rilevanti.
Nella musica, ad esempio, lo si può individuare nello sviluppo del movimento pop/punk degli
anni ‘70, tra cui è facile citare nomi importanti come “Kurt Cobain” coi suoi “Nirvana” o molto
piú semplicemente i “The Beatles”, che navigando sulla cresta dell’onda del successo,
riempirono per anni interi stadi dei loro fans.
Nella letteratura è possibile individuare il gruppo degli scapigliati di fine ‘800, il cui
caposcuola “Emilio Praga” si distaccò fortemente dal canone manzoniano, col suo
“Manifesto degli Scapigliati”.
Nell’arte invece troviamo la corrente impressionista, risalente anche quest’ultima alla
seconda metà del 1800, coi primi cenni di espressione dell’interioritá dell’autore.
Tutti loro, distaccandosi, affrontarono il rifiuto delle masse, ispirando poi il cambiamento
effettivo.
L’uomo moderno, al contrario, vive nella massa, segue le mode e si fa influenzare da
personalità di spicco. L’uomo sociale civilizzato si adatta ed è alienato dal giudizio altrui, che
non si limita più al mondo reale e tangibile, ma lo colpisce quotidianamente sui social, che
basano la loro stessa essenza sulla mera apparenza e sulla volontà di essere apprezzati da
sconosciuti che, casualmente, visualizzeranno i contenuti che noi stessi decidiamo di
pubblicare nei momenti più piacevoli. I social sono l’evoluzione contemporanea di ciò che
Luigi Pirandello, nel XX secolo, avrebbe definito “trappola sociale”.
L’individuo è essenzialmente spaventato dal giudizio altrui e si nasconde dietro una
maschera che non rappresenta ciò che si cela dietro quest’ultima.
Nella società di massa vige l’uniformitá e l’uomo vive la cosiddetta “esistenza anonima”
Heideggeriana.
“L’esistenza anonima é quella di tutti e di nessuno. In essa tutto è livellato, reso ‘ufficiale’,
convenzionale ed insignificante. L’uomo, in essa, è tutti e nessuno, perché è ciò che sono
tutti, ma non nel loro essere autentico, bensì in un modo d’essere fittizio e convenzionale,
che vela l’essere proprio.”
In questo modo, mettiamo a tacere e censuriamo il fanciullino pascoliano curioso ed
ingenuo, che si trova dentro ognuno di noi e che si pone tutti quei “pensieri sghembi”, a cui
non troveremo mai risposta.

La mancanza di autenticitá delle masse viene tuttavia spesso riflessa anche nei
comportamenti individuali, a livello relazionale.
“Funziona cosí anche nell’amore dove si tace molto piú di quanto si dica. Persino
nell’amicizia, che dovrebbe essere il luogo dove la parola non conosce inibizioni e divieti.”
Soren Kierkegaard analizzó profondamente le radici di questi comportamenti nel suo “Diario
del seduttore”, evidenziando la via estetica, percorsa dal Don Giovanni, che vive in funzione
edonistica la filosofia del “Carpe diem”, mancando cosí di comunicazione ed evitando
qualsiasi tipo di riflessione derivante dall’esperienza vissuta.
A questa figura viene contrapposto il Marito, che perseguendo la via etica, sceglie
liberamente e consapevolmente di adottare eticitá ed impegno nelle relazioni che
intraprende.
Nonostante gli sforzi, entrambe le vie sono destinate a confluire nell’infelicitá tollerabile; da
una parte, derivante dalla viltá della propria esistenza; dall’altra dalla comprensione della
propria limitatezza e dalla perenne necessitá di affrontare apertamente quei pensieri
sghembi, che ogni uomo porta con sé nel proprio insostenibile bagaglio esistenziale.
È perfettamente concepibile e comprensibile, in quest’ottica, che molti uomini decidano di
rifugiarsi nel proprio io, senza affrontare quei mostri che, inevitabilmente, finiranno a poco a
poco per divorarli.
“Siamo piuttosto ignoranti in materia di infelicità, soprattutto della nostra.”. Spesso,
maggiormente in soggetti dalla psiche fragile, che sono accomunati dal sentimento di
incomprensione, quasi paradossalmente, l’infelicitá diventa una zona sicura per l’individuo,
che smette di cercare di comunicare ció che prova e diventa piú spaventato dalla necessitá
di affrontare la paura, ancor di piú col prossimo, piuttosto che dalla paura stessa.
Le uniche fonti di riparo diventano il confronto e la comprensione di individui che presentano
un pensiero simile al nostro e le proprie passioni ed inclinazioni.
Personalmente, come spiega anche l’autore del passo, ho sempre trovato conforto nei libri e
nello studio di materie di stampo psicologico-speculativo, che mi aiutassero a comprendere
il motivo fondante per cui provassi determinate sensazioni ed emozioni.
Un titolo a cui sono particolarmente legata, in tal senso, è “L’insostenibile leggerezza
dell’essere” di Milan Kundera.
In questo libro, i quattro protagonisti portano con sé il pesante fardello delle proprie azioni,
dettate da un inconscio peculiare e talvolta patologico, che li spinge a vivere con leggerezza.
Ad ognuno di loro sembra mancare un pezzo di qualcosa, rendendoli incompleti e
costituendo un vuoto che cercano di colmare nelle piú varie maniere.
È facile immedesimarsi in loro, ma la riflessione su cui lo scrittore spinge di piú il lettore a
riflettere é: “É davvero sufficiente vivere con leggerezza, al fine di perseguire l’obiettivo di
non addossarsi il pesante fardello della riflessione e dei propri errori?”.
Personalmente, trovo che la riflessione non sia solo fondamentale, ma anche necessaria.
Dopotutto, se la natura ci ha dotato di spirito critico e capacità intellettuale, perché
privarsene per una singola ed effimera paura?
In questi casi, a mio parere, puó risultare molto utile il confronto con uno specialista, che ci
accompagni nel processo di convivenza ed accettazione di determinate emozioni.
Sentirsi diversi o infelici, in questa società di apparenze e vite perfette, è visto come un
fallimento, ma è di vitale importanza mantenere la consapevolezza che queste vite ci
appaiono perfette solamente perché le osserviamo esternamente e da lontano.
Perció é inutile conformarci a ciò che non siamo realmente e piuttosto dovremmo smettere
di vivere anonimamente ed iniziare a farlo piú autenticamente.
“Quando perdiamo il diritto di essere diversi, perdiamo anche il privilegio di essere liberi.”
-Charles Evans Hughens