Lingua e miracoli dell’uomo
Christopher Dominic Bassi
Lingua come unità nazionale
La lingua di un popolo è una delle parti più importanti per quanto riguarda l’unità e il senso di appartenenza dei cittadini. Oltre a eliminare ovvi problemi comunicativi, che non possono che portare estraniamento tra persone che invece dovrebbero ritenersi pari e vicine fra loro, dà anche un sentimento di orgoglio patriottico che spinge alla preservazione della lingua stessa. La lingua non è solo uno strumento che utilizziamo, ci forma anche come persone, modellando i nostri pensieri. L’italiano, come scritto nel testo, si è evoluto, ha unito la storia letteraria di un popolo per secoli, dando voce ai suoi cittadini, anche quelli che non avevano la possibilità di apprenderla.
Lingua come senso di appartenenza regionale e fonte di curiosità unificatrice
Una caratteristica interessante di quasi ogni lingua è la distinzione regionale in dialetti. L’Italia vanta una quantità vastissima di dialetti che, però, muoiono sempre di più dato il loro inutilizzo per mancanza di praticità. Molte figure illustri, e anche meno illustri, ma con sfortunatamente una potenza mediatica fortissima, hanno fatto notare questa perdita, come per esempio Papa Francesco. Dal mio punto di vista la perdita del singolo dialetto è un avvenimento inevitabile: le lingue sono sempre state sostituite dalla loro evoluzione, è un processo essenziale nella storia dell’uomo. Questo non toglie, però, l’unicità al luogo, che mantiene pronunce, modi di dire e parole uniche e caratteristiche, che ci rendono distinguibili dal resto dei compatrioti. Queste differenze, seppur talvolta fonte di scherno ed esclusione, possono suscitare curiosità, voglia di imparare e momenti di condivisione importanti nella vita di una persona. Più volte, facendo campetti con gli scout con ragazzi di altre regioni, ci siamo messi insieme a parlare e scherzare delle nostre differenze di pronuncia, sorprendendoci e scoprendo così tante differenze.
Lingua nella costruzione dell’identità del singolo
Ogni lingua ha delle caratteristiche specifiche, come tutti noi possiamo notare, ma queste caratteristiche non rendono unico solo il mezzo, ma anche il comunicatore. Come detto nel primo paragrafo, la lingua modella il soggetto. La costruzione sintattica guida il pensiero, rendendolo diverso da una persona di una lingua diversa. Questo diventa particolarmente evidente imparando una seconda lingua. Non si può mancare di notare che non basta una semplice traduzione dei vocaboli, ma delle volte è necessaria una completa riscrittura della frase. In più, tra persone della stessa lingua, avvantaggiata chi tra loro ha una padronanza maggiore e profonda, rispetto a chi la lingua la sa solo superficialmente. Questo perché chi è più esperto saprà anche meglio le sfumature, rendendolo meno manipolabile, più capace di farsi intendere e, quindi, anche facendolo apparire più intelligente e preparato rispetto alle sue reali conoscenze.
Non solo è un aiuto nelle relazioni interpersonali, ma è anche fondamentale per una comprensione estesa di noi stessi. Saper spiegare ed esprimere cosa si sta vivendo, come ci si sta sentendo e dare voce ai propri pensieri è molto utile per po metabolizzarli e vivere una vita più serena e consapevole.
Lingua come veicolo del pensiero
Come utilizziamo le nostre parole è fondamentale, questa frase di per sé è banale e ci viene spesso ripetuto quanto le nostre parole abbiano un peso. Sovente, però, le persone sottovalutano la potenza che la costruzione di una frase può avere. Ci si concentra sull’evitare parole single, ritenute scortesi e che sappiamo potrebbero ferire il prossimo, ma poi le sostituiamo con frasi che veicolano lo stesso messaggio. Faccio un esempio per essere più chiaro: quando ero piccolo venivo spesso chiamato “pattume” dalla mia famiglia perché avevo sempre fame e mangiavo gli avanzi delle mie sorelle. In gita una mia compagna di classe ha fatto un commento sul fatto che stavo mangiando troppo, implicando che io non avevo bisogno di mangiare, mentre un altro mio compagno sì. Non ha detto che ero grasso, non ha nemmeno detto che stavo mangiando troppo direttamente, ha detto che lui ne aveva bisogno (di mangiare) e io no. Posso dire con certezza che avrei preferito essere chiamato pattume come quando avevo dieci anni. La frase della mia amica, però, se analizzata, non riflette solo un giudizio verso gli altri, ma una sua idea più generica sul cibo e sul corpo. Mangiare non è un diritto di tutti, ma solo di chi è magro, è un privilegio per chi lo merita muovendosi o avendo un metabolismo veloce, mentre una vergogna per chi non rispetta questi canoni. Questa idea, oltre a ferire gli altri, può essere lesiva per la persona stessa. Ho fatto questo esempio per l’aumento allarmante dei disturbi alimentari degli ultimi anni, aiutati da una società fissata su canoni estetici irraggiungibili, con mezzi di comunicazione fortissima che non spingono per un’accettazione completa del proprio corpo se non perfetto. E’ interessante anche notare come la parola possa modificare il pensiero. Ho sentito persone che hanno vissuto un cambiamento dell’umore e della loro generale salute mentale, dopo aver smesso anche solo di scherzare sul suicidio o sull’autolesionismo. Anche se non sembra, frasi come: “Mi taglio le vene.”, “Vado ad ammazzarmi” o “Mi giù da una finestra.” hanno un impatto significativo sul nostro cervello. Ovviamente se si soffre di una malattia mentale semplicemente smettere di dire quelle cose non la risolverà, ma potrebbe comunque aiutare. Perciò, in conclusione, uno sforzo concreto nell’utilizzo della lingua per una visione più positiva e felice di se stessi, gli altri e il nostro approccio alle situazioni potrebbe portare a un miglioramento complessivo.