Christian Zanetti

Il giovane Holden (The Catcher in the Rye) è un romanzo uscito nel 1951, scritto dall’americano J.D. Salinger. Oltre ad essere un classico della letteratura di formazione, è anche una delle maggiori opere della letteratura americana del Novecento. L’influenza di questo libro si è estesa al movimento americano della Beat Generation, che vide scrittori quali Jack Kerouac e Bob Kaufman.

A primo impatto, l’elemento forse più risaltante risulta essere il linguaggio. Infatti, la scrittura usata da Salinger è semplice, schietta e a tratti volgare, e non è raro che il lettore ne resti indifferente, o che anzi si trovi a disagio con un simile stile. Personalmente, mi ci sono voluti un paio di capitoli per abituarmi, mentre dopo la famosa descrizione del guantone da baseball – per chi ha letto il libro sarà chiaro ciò cui mi sto riferendo – non ho più incontrato problemi a relazionarmi con esso, e anzi ho molto apprezzato il rapporto intimo che viene creato dalla sincerità di espressione di Holden. 

La tematica principale risulta essere il passaggio alla vita adulta, dalla quale deriva la catalogazione nella letteratura di formazione. Nel libro di Salinger mi è parso che questa tematica si sia condensata attorno all’incapacità da parte del protagonista di relazionarsi con il percorso di vita che siamo destinati a compiere in quanto umani, e dunque esseri viventi, obbligati a relazionarci con la realtà. Questa caratteristica fa da padrona durante la narrazione, e nel caso di Holden la suddetta inabilità va a cristallizzarsi nel rifiuto della società borghese, e più in generale in un attacco all’ipocrisia e alla mancanza di sincerità, che il giovane attribuisce soprattutto agli adulti. 

L’impressione che la figura del protagonista mi ha restituito è stata quella di un ragazzo che non vuole più crescere, una sorta di bimbo sperduto di Peter Pan: una volta incontrato il mondo degli adulti, Holden si rifiuta di procedere verso una simile realtà – quella “adulta” – e finisce per rinnegarla in favore del ricordo del passato e dell’ingenuità infantile. In questo, vedasi il suo comportamento a tratti bambinesco, ma anche il suo forte legame, proprio con i bambini: Questi ultimi sono per lui una fonte di pacificazione con il mondo, un balsamo contro la crudezza della realtà.

Infine, proprio in riferimento al tema dell’infantilità vi è il titolo originale: The Catcher in the Rye, letteralmente “l’afferratore tra la segale”, una brutta traduzione che però ben descrive le emozioni provate da Holden. Infatti, lui vorrebbe essere quel “catcher” nel campo di segale, una figura che ricopre un duplice ruolo nell’immagine ricreata dal giovane: da un lato potrebbe assistere a quel mondo bucolico immerso nell’infantilità; dall’altro il catcher fungerebbe da protettore di quella tanto innocente e decantata purezza.

Tuttavia, la visione che Holden possiede dell’infanzia è utopistica, e la mancanza di corruzione che vi ritrova altri non è che un costrutto ideale e fuorviante, ben lontano dalla realtà dei fatti: tanto gli aspetti positivi quanto quelli negativi vengono da lui distorti, in un ricordo d’infanzia fossilizzato e ancorato a relitti del passato nella speranza di trovare una tranquillità mai esistita, se non in apparenza, nel periodo della fanciullezza.

Ed è nel suddetto confronto con la realtà dei fatti che il personaggio di Holden evolve nel corso della storia, proprio tentando di resistervi, in un finale enigmatico che ben si adatta a quest’opera, il cui fine non sembra essere quello di dare risposte, quanto di esprimere sentimenti maturati in giovane età dallo stesso scrittore e dalla sua acuta sensibilità infantile.

Un libro tanto semplice quanto sincero, frutto di un ricordo dolceamaro che rievoca spinte emotive estremamente vigorose, ma al tempo stesso labili, in bilico sopra il baratro della dimenticanza e attaccate dall’erosione di quel fatidico vento chiamato tempo.