Lo scorso Febbraio, gli studenti di 3 I hanno realizzato un progetto a gruppi che si poneva come obiettivo di comparare le epidemie di Peste Nera del XIV secolo con la più recente pandemia di Covid, attualizzando il loro percorso scolastico e indagando le differenze tra le due malattie. Durante il loro lavoro di ricerca hanno realizzato tre interviste, in modo da poter avere un quadro completo di ciò che stavano affrontando. Di seguito, la prima parte delle risposte ricevute da docenti di Biologia, Filosofia e dalla Preside del nostro istituto:

Alberto Magnani, professore di Biologia e Scienze della Terra

Ci può descrivere il virus (covid)? A cosa è dovuta la sua aggressività e l’elevato contagio?

Il virus è SARS-CoV-2 e COVID-19 è la malattia provocata. Tecnicamente è un virus a RNA, elicoidale e rivestito da uno strato lipidico, il che lo rende sensibile ai detergenti. E’ una delle numerose specie della famiglia CoronaVirus. E’ prevalentemente a trasmissione aerea. In realtà non è molto aggressivo, piuttosto è eccezionalmente contagioso. Il problema principale all’inizio era che il virus ha cominciato ad esistere dal 2019. Prima non esisteva, quindi nessun uomo al mondo aveva messo alla prova il proprio sistema immunitario con un’infezione da SARS-CoV-2. Non si sapeva niente, se non che una percentuale di contagiati sviluppava sintomi gravi e deleteri in risposta all’infezione. Poi c’è tutta la questione della gestione della pandemia e della tenuta dei sistemi sanitari nazionali…

Mariagrazia Braglia, Preside

In che modo la pandemia ha cambiato l’organizzazione scolastica?

E’ stata una vera rivoluzione, un vero stravolgimento. Una domenica mattina abbiamo scoperto che la scuola sarebbe rimasta chiusa dal giorno successivo. Ci siamo, quindi, ritrovati qui a scuola la domenica pomeriggio per capire che cosa dovessimo mai fare. L’anno scolastico 19/20, come ricorderete, a partire da febbraio 2020 è stato tutto a distanza così come, purtroppo, anche il successivo. Nello stesso anno scolastico ho assistito ad un fenomeno veramente straordinario: quando le scuole sono state chiuse sono stati i ragazzi e docenti che si sono auto-organizzati per continuare a fare scuola; ricordo benissimo che un docente in primis, immediatamente seguito da altri colleghi, si impegnò per mettere in piedi un sistema per consentire di raggiungere i ragazzi che erano a casa per fare lezione. I ragazzi accolsero questa proposta, che ancora non era stata affatto normata dallo Stato, rendendo le prime lezioni a distanza del tutto “artigianali”. Le prime lezioni vennero fatte non perchè fosse stata emanata una legge dal Ministero, ma perchè c’era la volontà da parte di docenti e ragazzi di continuare il proprio percorso scolastico. In quel momento, credo che si riscoprì il valore della scuola, il suo significato. Questo entusiasmo è durato fino alla fine di quell’anno scolastico, pur nella fatica di dovere gradualmente riorganizzare il tutto, attenendosi alle continue norme emanate dal Ministero. L’anno scolastico successivo è andato molto diversamente, forse perché ci eravamo illusi che la cosa sarebbe terminata in fretta, che l’arrivo dell’estate ci avrebbe portato alla soluzione del problema; quando ci siamo ritrovati a settembre, e di nuovo a distanza, la stanchezza si è fatta sentire, complici anche i vari DPCM che ci costringevano a variare continuamente l’organizzazione scolastica, che prima ha previsto la didattica in presenza solo per i laboratori, in seguito per un certo numero di ore settimanali e via dicendo. Ogni volta bisognava cambiare gli orari di tutte le classi. Chiaramente questo ha portato confusione e fatica, ma anche stanchezza per i ragazzi che erano a casa e per gli insegnanti che lavoravano dietro uno schermo. Per concludere, ho avuto modo di notare sia delle cose positive in questa esperienza, ma anche momenti di grande fatica e scoraggiamento.

Elisabetta Casu, docente di Storia e Filosofia

Come la filosofia ci ha aiutato a superare la pandemia?

“Poveri umani! e povera terra nostra!

Terribile coacervo di disastri!

Consolatori ognor d’inutili dolori!

Filosofi che osate gridare tutto è bene,

venite a contemplar queste rovine orrende:

muri a pezzi, carni a brandelli e ceneri.

Donne e infanti ammucchiati uno sull’ altro

sotto pezzi di pietre, membra sparse;

centomila feriti che la terra divora,

straziati e insanguinati ma ancor palpitanti,

sepolti dai lor tetti, perdono senza soccorsi,

tra atroci tormenti, le lor misere vite.”

Così esordisce il filosofo francese illuminista Voltaire nel suo poema dedicato al terribile terremoto di Lisbona: è il primo novembre del 1755 quando la terra trema, radendo al suolo la capitale del Portogallo  e uccidendo gran parte  della sua popolazione. 

Fu un evento che traumatizzò l’ Europa intera e alimentò il dibattito tra teologi, filosofi e scienziati.

Voi lettori vi chiederete perché mai, se la domanda verte sulla pandemia, si vada invece a  parlare di un cataclisma… la risposta è abbastanza naturale: pandemie e cataclismi hanno in comune il fatto di essere eventi eccezionali da parte di una natura che mette in ginocchio l’ uomo. 

Nel 1700 l’Illuminismo aveva alimentato quell’immensa fiducia  nella ragione umana e, di conseguenza, nell’ analisi razionale di ogni evento che caratterizzasse l’uomo. Contro l’oscurantismo del Medioevo il ‘lume della ragione’ sembrava aver trionfato e l’uomo ormai appariva  al sicuro in una natura che poteva  dominare.  

Ma sarete concordi che di fronte alle grandi tragedie anche il lume della ragione lasci spazio al buio del dubbi sul senso ultraterreno dell’esistenza. Come per la peste del 1300, anche in pieno periodo dei lumi,  la Chiesa, per voce dei Gesuiti, urla la vendetta divina: Lisbona sarebbe stata distrutta dall’ ira divina per i troppi peccati commessi dagli uomini. Ma Dio esisteva davvero? Voltaire entrò in crisi e nel suo poema si espresse con parole forti e buie, cariche di rabbia, contro i filosofi ciarlatani.

Se si togliesse la possibilità di un castigo divino, cosa rimarrebbe come metro di interpretazione di questi tragici fatti, compresa la pandemia che ci ha colpito recentemente? 

Insieme a voi cerco una possibile risposta sempre andando a ritroso nel secolo dei lumi. 

Rousseau, contemporaneo di Voltaire, replicò al suo poema su Lisbona  con una lettera, datata 1755, che l’autore del “Candido” definì noiosa.

Leggiamola insieme: 

“Restando al tema del disastro di Lisbona, converrete che, per esempio, la natura non aveva affatto riunito in quel luogo ventimila case di sei o sette piani, e che se gli abitanti di quella grande città fossero stati distribuiti più equamente sul territorio e alloggiati in edifici di minor imponenza, il disastro sarebbe stato meno violento o, forse, non ci sarebbe stato affatto. Ciascuno sarebbe scappato alle prime scosse e si sarebbe ritrovato l’indomani a venti leghe di distanza, felice come se nulla fosse accaduto. Ma bisogna restare, ostinarsi intorno alle misere stamberghe, esporsi al rischio di nuove scosse, perché quello che si lascia vale più di quello che si può portar via con sé. Quanti infelici sono morti in questo disastro per voler prendere chi i propri abiti, chi i documenti, chi i soldi? Forse non sapete, allora, che l’identità personale di ciascun uomo non è diventata che la minima parte di se stesso e che non vale la pena di salvarla quando si sia perduto tutto il resto?».”

La lettera  di Rousseau è, purtroppo, molto attuale, soprattutto alla luce anche del recente e tragico  terremoto  che ha colpito la Turchia in questo 2023.

Le domande più frequenti oggi sono quale ruolo abbia avuto, in questi cataclismi e nella gestione  della pandemia del covid, la responsabilità umana e come sia stato possibile, in un mondo globalizzato, tecnologico e scientificamente avanzato, che potessero  mancare dispositivi di sicurezza, come delle banali mascherine chirurgiche.

Abbiamo visto come tanti medici, infermieri, Oss, forze dell’ordine si siano ritrovati a dover affrontare  questo  terribile  virus, per non parlare della mancanza di posti letto nelle terapie intensive degli ospedali: è emersa quella dicotomia tra il diritto di cura e l’imperativo morale di salvare le vite umane da un lato e  il voler risparmiare sulla sanità dall’altro.

Ecco allora che, ancora oggi nel 2023, la lettera di Rousseau e il poema di Voltaire urlano più che mai l’esigenza di una riflessione che smetta di nascondersi dietro ad un Dio che punisce, direi piuttosto che Cristo  continua ad essere messo in croce  da noi umani, incapaci di intravedere dietro alla nostra libertà  la responsabilità e la cura verso l’altro, volto mai sbiadito di Dio.