Gianluca Marzano
Per molti ragazzi la propria cameretta è il luogo più sicuro del mondo, dove potersi rifugiare in qualsiasi momento, riposare e chiarirsi le idee, fuggire dalla realtà ed essere se stessi. Io mi reputo uno di questi, tant’è che ne sono anche geloso in certi casi. Non mi piace che chiunque entri in casa mia venga nella mia cameretta, perché è il mio “luogo sacro” e per entrarci bisogna essere una persona a me molto vicina. Questa mia “gelosia”, se così si può definire, deriva dal fatto che la mia camera è l’unica ad aver visto e scoperto tutti i lati della mia personalità; è. il luogo nel quale voglio stare se sono arrabbiato, triste o pensieroso; tutti i miei pensieri fluttuano all’interno di quelle mura ed è essa il posto in cui essi sono messi in ordine e chiariti. Guardo quel bianco soffitto come se fosse un foglio, scrivo su di esso tutti i miei pensieri e poi li chiarisco, cerco di capire cosa voglio realmente e spesso faccio anche molto autocritica. Paragono la mia stanza quasi a una persona, perchè ‘lei’ mi ascolta e mi sopporta in tutti questi miei momenti, mentre io mi prendo cura di ‘lei’: non mi reputo un ragazzo molto ordinato, ma la mia cameretta è sempre in ordine. Se fosse disordinata, sarebbe come se il foglio bianco, di cui parlavo prima, fosse sporco e sappiamo bene che non si può scrivere su un foglio sporco, tant’è che una delle poche cose che mi dà veramente fastidio è quando una di quelle poche persone che entrano nella mia stanza la lascia in disordine. Trascorro molto tempo della mia giornata nella mia stanza tra studio, divertimento e pensieri e penso che sia per questo motivo che ci sono così affezionato.
Alcuni ragazzi vedono nella propria cameretta un posto in cui sentirsi così al sicuro, così lontani dalle altre persone e dal mondo esterno tanto che decidono di non uscirne più, se non in momenti di cruciale importanza. Questi ragazzi sono detti Hikikomori, un termine giapponese che significa letteralmente “stare in disparte”. Spesso questi ragazzi si rifugiano nel mondo virtuale, che diventa il loro ‘posto sicuro’, in cui nascondersi dalla realtà e fuggire dal giudizio delle altre persone. Questa patologia si sta diffondendo molto in questo periodo ed è legato all’uso delle tecnologie. “Perché dovrei uscire dalla mia stanza e affrontare il mondo esterno e il giudizio delle altre persone quando posso vivere dietro a un monitor?”: probabilmente è questo il pensiero degli Hikikomori. Non credo sia un caso che questo fenomeno si sia molto diffuso in Giappone, Paese in cui è presente una cultura ipercompetitiva e i ragazzi, ma non solo, sono sottoposti a forti pressioni fuori dal loro controllo e questo li porta a rifugiarsi in una realtà ‘altra’ dove non possono essere giudicati o presi di mira, perché considerati inferiori rispetto agli altri.