Giacomo Tamagnini
“Papà, quanto è profondo il mare?”
“Ascoltalo. Lascia che la sabbia ti scivoli tra le dita, spingi il tuo sguardo su tutta la costa. Poi vai oltre, scrutane ogni angolo, fino al punto in cui la superficie si colora di cielo, dov’è la fine?”
“Non lo so.”
“Perché la verità è che le onde celano dietro i riflessi del Sole un mare profondo quanto vuoi tu.”
L’immaginazione è parte dell’essere umano. L’uomo non è uomo senza sogno, non è uomo senza illusione, non è uomo senza l’alterazione della realtà che porta con sé. È necessaria, poiché gli permette di valutare scenari, provare paura, confortarsi nel sogno. Consente la genesi delle idee, lo sviluppo dei pilastri intangibili che compongono la complessità delle sfere umane: ego, socialità, morale, pensiero, sentimenti…
L’immaginazione porta con sé i vantaggi che l’hanno resa utile, alla luce di un mondo dove l’evoluzione e la selezione che essa comporta regnano sovrane. E come ogni tratto fisiologico della natura umana può presentare le proprie anomalie, che conducono a dei veri e propri disturbi patologici, lievi o marcati che siano. La natura delle malattie a livello mentale spazia dallo stress alla follia, dall’ansia sociale all’anoressia, fino alla depressione e all’autolesionismo. Rientrando quindi all’interno delle funzioni organiche, la componente mentale risulta inevitabilmente inserita in un delicato equilibrio responsabile della salute individuale. Ed ecco che un disturbo psichico può ripercuotersi negativamente sulla parte fisica così come, al contrario, un problema corporeo può evolvere in uno mentale.
Nonostante queste analitiche considerazioni che oggi scaturiscono dalla visione meccanicistica di universo sempre più razionale che caratterizza la nostra epoca, l’uomo ha in ogni tempo trovato affascinante il proprio lato interiore. Probabilmente più di quello materiale. Tale interesse che pare innato, sostenuto da una concezione metafisica di universo e da uno sviluppo medico-scientifico in stato di avanzamento, ha portato in passato a romanticizzarlo, solitamente attraverso una chiave di lettura trascendentale. L’origine di questo moto interiore era spesso attribuito ad un’entità fisica ma intangibile che, simile ad un’ombra, segue l’individuo nei propri passi e ne influenza l’etica, le scelte, i sentimenti. Parlo dell’anima. Non è un caso che la parola greca per anima, psychì, rimandi ora alla mente e ciò a che ad essa è annesso.
Ed ecco che la componente più velata della natura umana veniva associata ad un’entità divina, o quantomeno oltremondana. Non è d’altronde inusuale da parte dell’uomo cercare una risposta alle proprie domande, anche nel momento in cui tale risposta ancora non può essere compresa. Le civiltà tendono infatti per natura a mistificare tali questioni, attribuendo loro proprietà spesso divine, pur di evitare l’ipse dixit socratico “so di non sapere”.
Se quindi la componente immateriale della natura umana era, nella concezione antica, annessa a entità trascendentali, lo erano anche le condizioni anormali ad essa collegate. La follia diviene indice di peccato personale o ereditario, i sintomi comportamentali manifestazioni sataniche.
Con l’avvento però dei primi scetticismi collettivi, vengono rivalutate anche tali posizioni. Il diciassettesimo secolo porta con sé la generale tendenza a quell’approccio empirico che diviene precursore dei “lumi”, a loro volta aizzatori, nel secolo successivo, di un dirompente impulso rivoluzionario guidato dalla fame del civile e dalla ragione del borghese.
La mente e i costrutti ad essa associati vengono trattati secondo tali principi. L’uomo accompagna l’ateismo nei suoi primi passi, vengono proposte nuove concezioni del mondo e nuovi approcci alla realtà, allo studio e alla civiltà.
Emerge in questo contesto il pensiero di Kant, empirista per eccellenza, che offre una visione di mondo tra le più strutturate, complete e organizzate arrivate a noi nei secoli. La sua filosofia è conosciuta e apprezzata prevalentemente per l’approccio analitico alla morale, ma non si limita a questo. La panoramica che Kant percorre nei suoi scritti indaga ogni anfratto della natura umana, ruotando in larga parte attorno alla concezione che l’individuo ha del mondo. Una concezione a suo parere non errata, ma velata da un lenzuolo opaco che lascia intravedere solamente ciò per cui l’uomo è fatto, in una visione che nei secoli ispirerà personalità rilevanti come quella di Schopenhauer. Dall’empirismo fortemente intersecato al pensiero kantiano, emerge una critica a quelle che lui chiama “idee della ragione”, costrutti fuorvianti insiti nella natura umana che risultano illusori e non conoscibili, che includono, oltre all’idea di mondo e di Dio, proprio quella di anima.
Idea di anima che viene criticata nella “psicologia razionale” e che emerge rimodellata: Kant ritiene che l’errore logico insito nella naturale conformazione delle mente umana sia quello di tentare di conferire carattere di sostanza ad un attributo che rimane invece al di là dei tratti conoscibili da parte dell’uomo. L’anima diviene sostituto materiale di qualcosa di ancora superiore e inconoscibile, e questo lo rende fruitore illegittimo delle modalità conoscitive che possono essere espresse solamente tramite l’esperienza, e non possono pertanto riferirsi ad un’entità trascendentale.
Non risulta quindi abbandonata totalmente la concezione metafisica di universo, che viene però indagata in maniera più razionale e svincolata dai costrutti dogmatici fino ad allora rimasti inviolati e inviolabili.
In età più avanzata Kant andrà a rivedere la propria posizione teologica (che da lui stesso non è mai stata posta come atea), rivalutando l’immagine di Dio e di conseguenza le “idee della ragione”, senza mai abbandonare l’idea che i valori trascendentali e metafisici rimarranno sempre inconoscibili da parte dell’uomo:
“Ho dovuto sopprimere il sapere per fare posto alla fede.”
Ecco quindi che da tale periodo storico, fatto di libertà, ghigliottine e bandiere di sangue, emerge il profilo di una civiltà fino ad allora rimasta in due dimensioni. È un seme che diviene fiore, è la tela di Monet che lascia spazio a Picasso sulla parete del Salon, è Joyce che si sostituisce a Wilde. È la superficie increspata del mare che evolve in abisso. Ora ogni cosa va più in profondità; il sapere cambia forma e guadagna una terza dimensione. L’individuo riacquisisce il proprio carattere, ha nuovamente la capacità di mettere in discussione il mondo accademico. Viene riesumato l’antropocentrismo rinascimentale che rende l’uomo unico responsabile e fruitore di se stesso. Ogni cosa può essere conosciuta da più prospettive, e ogni persona può indagarla secondo la propria idea.
Posso ritrarre un fiore dall’alto o dal basso, di lato o soffermarmi su di un petalo, mentre un seme rimarrà seme. Da Picasso traggo concetti e visioni di rilievo rispetto alla semplice “impressione” che giunge da Monet. Wilde crea personaggi il cui cammino si arresta di fronte alla complessità di quelli joyciani. L’abisso cela i segreti che l’increspatura delle onde cede all’immaginazione.
Allo stesso modo, ora anche la concezione della malattia mentale si presta ad essere indagata da altre prospettive. Nonostante ciò, è uno dei temi che assisterà al trascorrere di secoli prima di vedere la propria importanza riconosciuta. Probabilmente non interessava, e in parte non interessa nemmeno ai giorni odierni. È qualcosa che pare lontano, di poca importanza. Il malato mentale è un entità vagante, la piccola falena che ronza nel silenzio di qualche notte estiva. È più comodo imparare a sopportare il fastidioso rumore, magari osservarla attraverso i riflessi del bicchiere capovolto che la contiene, piuttosto che valorizzarne le qualità.
E l’interesse nei confronti di qualcosa che nell’immaginario collettivo non esiste o non interessa, risulta inevitabilmente compromesso. Il valore di una personalità la cui sanità mentale si presenta dubbia, viene valutato di conseguenza. È questo il motivo per cui gli scritti di Nietzsche vedranno la luce del pubblico riconoscimento quando la mente che fu loro balia sarà oramai estinta.
Nonostante questo, lo studio della componente psichica non si arresta del tutto. Le teorie deterministiche del dottor Lombroso, figlie del periodo positivista che ne ha accompagnato la nascita, vengono sviluppate sul campionario della sfera criminale, all’epoca fortemente intersecata con quella dei malati mentali. Quest’ultima sfera viene quindi indagata -con tesi opinabili- poiché annessa ad un’altra il cui studio porta sulle spalle una dote utilitaristica non indifferente.
Ma il vero valore della psiche viene effettivamente riconosciuto solo nel momento in cui il suo effetto viene esteso ad ogni persona. Nel momento in cui Freud provoca all’uomo la sua terza ferita narcisistica1, l’attenzione nei confronti di tale entità di fatto sconosciuta, ma che ci determina nel profondo, cresce notevolmente, portando con sé lo studio che ne aiuta la comprensione. Le patologie annesse a tale sfera umana, vengono pertanto guardate con interesse: ora sono potenziali mezzi utili alla comprensione di quel mondo tanto importante quanto sconosciuto.
Il progresso tecnologico e culturale che interessa la prima metà del ventesimo secolo è però intrecciato con il regresso sul lato umano. Parafrasando Einstein, la quarta guerra mondiale si combatterà con la clava. Ma gli errori che hanno condotto alle prime due sono riconducibili ad un difetto di umanità negli uomini che le hanno volute. Forse sbaglio a dire che è stato un regresso: non posso sapere se la mentalità dell’Ottocento giudicherebbe allo stesso mio modo tali eventi. Ciò di cui sono convinto è che tale struttura culturale non abbia giovato al corretto indirizzamento degli studi che riguardano in particolare la dimensione psicologica. Da un lato perché la guerra, che di tale struttura è frutto, ha fisicamente ostacolato l’avanzamento accademico in ogni campo.
Dall’altro perché la concezione superomistica di individuo tipica dell’epoca ha portato ad un atteggiamento di avversione nei confronti di qualsiasi persona fosse considerata in qualche modo di secondo livello. Ed ancora una volta l’interesse verso il malato mentale decresce. Malato mentale che non viene nuovamente declassato a falena, ma muta direttamente a scarafaggio. È il Gregor Samsa2 della nuova concezione di mondo. Non è il problema, è un problema. Un problema di secondo livello, proprio come le persone che tale problema compongono. E in quanto tale non merita i riguardi delle classi dirigenti, che si limitano a risolvere la questione degli scarafaggi utilizzando lo zoccolo di legno.
Ma gli errori che di tale cultura son figli non possono fare altro che svegliare l’uomo nella sua veglia insonne.
“Ecco il sereno rompe là da ponente, alla montagna”3.
Si aprono cancelli, si scrivono costituzioni e si ricostruiscono ponti. Varchiamo la soglia dell’epoca moderna. L’epoca che si estende fino ad oggi. Posso testimoniare che l’uomo non ha ancora smesso di litigare con la propria umanità, nonostante per ora sembri rimanervi aggrappato.
Il cambio di mentalità ha portato con sé il celere progresso che investe sulle strisce pedonali le nuove generazioni. Nuove generazioni che faticano a riconoscersi l’un l’altra. I problemi spuntano come funghi, ma il mondo va meglio di come ci si aspetterebbe. Traducendo Hans Rosling4: ”ricorda, le cose possono essere brutte, e diventare migliori”.
E tra ciò che questi ultimi settant’anni hanno migliorato, presenzia la concezione collettiva di salute mentale. La componente “immateriale” della fisiologia umana è ora riconosciuta e studiata a livelli mai raggiunti in precedenza. Il malato psichiatrico è spesso inserito nel contesto sociale e la sua stigmatizzazione va via via ridimensionandosi. L’aiuto psicologico è un’opportunità concreta e sempre più accessibile. Almeno questa volta Gregor Samsa è riuscito a invertire la metamorfosi.
Ora ha riacquisito il proprio volto umano, nonostante ci sia ancora chi lo guarda con circospezione.
E in un mondo in cui il lavoro meccanico è dalla meccanica sostituito, all’uomo non rimane altro che la propria creatività. I futurologi sostengono che sarà proprio il lavoro creativo a far sì che l’uomo conservi la propria utilità agli occhi delle macchine. Ma se sono creatività, fantasia ed immaginazione a rendere l’uomo umano, non è forse il folle l’uomo più umano di tutti? Chi riesce a vedere l’abisso tra i riflessi che il Sole scolpisce sull’increspatura del mare, non è forse pioniere del futuro?
“Ho scelto. Per me sarà profondo quanto il cielo la notte.”
1 – Freud sostiene che all’uomo siano state arrecate tre ferite narcisistiche:
I. Copernico lo rimuove dal centro dell’universo.
II. Darwin lo ridimensiona in quanto frutto di una macchina che risponde solamente al caso.
III. Freud priva l’uomo persino del controllo su se stesso.
2 – Protagonista de “La metamorfosi”, Franz Kafka.
3 – Giacomo Leopardi, “La quiete dopo la tempesta”
4 – Medico di rilevanza internazionale, coautore di “Factfulness”, saggio scientifico il cui scopo principale è illustrare come le statistiche mostrino che
il mondo va meno peggio di come siamo abituati a pensare.