di Francesca Olivetti, 4^D

È arrivato quel momento; la fitta e minacciosa nuvolaglia preludio del temporale, il caotico fruscio di foglie prima dell’uragano, il boato di un falò che divampa: l’attimo prima dell’interrogazione.

Quel limbo ansiogeno, ben noto agli studenti, nel quale senti che verrai estratto e, al tempo stesso, speri che il tuo sesto senso si stia sbagliando clamorosamente.

Il cuore galoppa in gola, i palmi delle mani sudano. Cerchi goffamente di giocare con la matita per distrarti, ma questa scivola, cade e, come in uno schiocco di dita, torni alla realtà.

Tutto in classe tace, ad eccezione di quella maledetta penna che sibila sul registro cartaceo: in alto, in basso, al centro, di nuovo in basso…

Cerchi freneticamente di capire in che punto dell’elenco si trovi il professore per calcolare la possibilità che il tuo cognome venga preso in considerazione.

Se, invece, si usa il metodo della data, immediatamente ogni calcolo, sebbene privo di logica aritmetica, sembrerà inevitabilmente risultare nel tuo numero di rubrica.

L’istante tra l’inizio dell’ora e la fatidica decisione degli interrogati sembra eterno e lascia spazio alla profonda contemplazione di tutte le scelte di vita precedentemente prese.

Finite le riflessioni personali, volti il capo al tuo compagno di banco, nella tua stessa identica situazione: lo sguardo fisso sugli appunti, le mani giunte in segno di preghiera e la bocca che mormora qualche strana formula, o forse una rimembranza di data storica (ma che materia è?).

L’ultimo stadio, il più disperato, è quello del ripasso inutile.

Sarà la revisione degli argomenti più ipocrita che potrai fare (considerando che hai passato la giornata prima a non fare niente sul divano), ma il solo fatto di far scorrere gli occhi sulle righe del libro ti darà abbastanza rassicurazione da farti sentire apparentemente pronto.

Per i più fortunati, la fase di illusione dura fino a che non realizzano di essere effettivamente stati scelti per andare in cattedra.

Per i comuni mortali, invece, è necessario qualche aiuto in più, qualcosa che permetta di portare la mente altrove per il breve lasso di tempo tra i soliti convenevoli e l’inizio dell’inferno.

In questi casi l’arma migliore è l’autoironia, o un pianto soffocato da una risata isterica nel tragitto dal banco alla sedia elettrica.

Come un proiettile, arriva la prima domanda.

E poi, all’improvviso, calma piatta.