Francesca Olivetti

Per troppo tempo ho abitato il mio corpo come fossi in affitto.

Ad oggi, ben lungi dall’aver accettato completamente la persona che sto diventando, posso dire di avere qualche consapevolezza in più riguardo l’accettazione di sé, sotto diversi punti di vista (dalle relazioni con gli altri, al proprio ruolo nella società, ecc…).

In quanto adolescente, posso affermare che imparare a fare andare d’accordo corpo e mente non è semplice, soprattutto in questi anni di cambiamento e in una società dove l’infodemia ci ha resi iper-stimolati e interconnessi 24 ore su 24.

Eh sì, perché la rete, oltre ad essere una risorsa fondamentale per la mia generazione, è anche maledettamente ubiquitaria: non vi è aspetto conosciuto dal genere umano che possa sfuggire a internet e che non sia raggiungibile grazie ad una semplice ricerca.

E se da una parte ciò ha facilitato notevolmente le modalità con cui le informazioni circolano, dall’altra vengono demolite le barriere che ci separano dall’obiettivo di conoscere il mondo circostante in modo critico.

Un grande limite delle generazioni interconnesse è il non saper distinguere tra informazione e conoscenza: per informazione intendiamo nozioni o messaggi che sono semplicemente comunicati tramite diversi mezzi (social, televisione, giornali, ecc…), mentre con conoscenza indichiamo la facoltà di apprendere.

Definiamo, perciò, ‘infodemia’ una vera e propria epidemia di proliferazione indiscriminata di informazione (e disinformazione), che porta inevitabilmente gli utenti a sviluppare la falsa presunzione di “sapere più di altri” sulla base di chi fa più rumore a vuoto; e parlo di rumore, perché spesso e volentieri i discorsi sono privi di messaggio, quasi a voler riempire lo spazio del dialogo con un numero massimo di caratteri, più che con significati.

Questo atteggiamento di superbia, chiaramente, ricade anche su aspetti della vita reale che viviamo nel quotidiano, come l’incapacità di ascoltare le argomentazioni altrui o la tendenza ad erigere muri di sarcasmo per uscire da conversazioni scomode.

È l’epoca della superficialità, poiché siamo abituati ad avere tutte le risposte alle domande che ci poniamo trovandole condensate in video da trenta secondi al massimo, un’epoca dove si è persa la curiosità di approfondire e spingersi oltre la mera risposta chiusa.

L’atteggiamento di riluttanza che noi adolescenti proviamo nei confronti della nostra persona è qualcosa di sconvolgente e deriva dall’arroganza di crederci infallibili: dal momento in cui non rispetto le aspettative che io stesso mi impongo in relazione agli altri, fallisco, quindi mi detesto e mi rifiuto per come sono realmente.

Credo fermamente che affrontare l’incertezza e l’ignoto sia un processo inevitabile e che, per farlo, siamo tutti portati a cercare appigli per non annegare in un mare di “se”. Per questo risulta comodo avere qualcuno che ci dica cosa fare, magari qualcuno con più esperienza di noi (o almeno così pensiamo) e che si mostri sicuro di sé.

Cerchiamo un mentore che ci guidi ed è proprio qui che si rischia di incappare nei guru della rete, i quali si configurano come salvatori del gregge smarrito, con pappe pronte sul senso della vita e corsi da migliaia di euro per insegnarci a investire in cripto!

Cliché a parte, quando ci si sente smarriti risulta comodo affidarsi allo strumento che più ci dà tranquillità: vuoi perché ci fa sentire capiti, vuoi perché tutti ci poniamo gli stessi dubbi esistenziali; avere qualcuno a cui aggrapparsi per galleggiare è sempre motivo di sollievo, anche se le opinioni che ci vengono servite non le condividiamo a pieno.

Non intendo sicuramente generalizzare ed esortare il lettore a diffidare da chiunque e da qualunque informazione, ma mi piacerebbe che tutti noi semplicemente imparassimo a procedere con cautela e a mettere in dubbio con spirito critico quanto ci viene trasmesso.

In una società dove tutto viene dato per scontato, guardare il mondo con occhio critico e porsi domande è forse l’unico mezzo che abbiamo per ritrovare noi stessi in quanto esseri pensanti, facendo valere le nostre opinioni, senza dover vivere la vita di altri.

Consiglio di lettura: “Seneca tra gli zombie” – Rick Dufer