Filippo Iodi e Nick Zhuo di 2 I
Il Giappone è conosciuto in tutto il mondo per la sua antica cultura, i manga, il sumo, i samurai e il sushi, ma sapevi che sono anche i produttori del denim migliore al mondo?1
La storia del denim giapponese inizia quando alcuni militari americani, dopo la Seconda guerra mondiale, vendettero i loro jeans Levi’s 501 ai mercati clandestini di Tokyo, introducendo lo stile americano in Giappone, che diventò travolgente negli anni Cinquanta.
Così i nipponici cominciarono a importare questi indumenti dagli States. La stampa scandalistica non tardò a coniare il termine ‘Taiyōzoku’ («Figli del sole») per descrivere in modo sprezzante i giovani benestanti ribelli che li indossavano, soprattutto dopo che un professore dell’università di Osaka rimproverò una studentessa che indossava jeans in classe. È in questo periodo che iniziò l’ossessione per il denim
Stando ai dati del 2022, il Giappone è l’ottavo esportatore al mondo di denim: 1 https://www.statista.com/statistics/1010206/leading-exporters-of-denim-made-from at-least-85-percent-cotton-worldwide/
americano, tanto che oggi oltre il 70% del denim vintage americano oggi si trova in Giappone.2
Dopo poco tempo i giapponesi iniziarono a notare la scarsa qualità dei jeans americani. Forti di un’importante tradizione tessile, decisero di produrre un proprio denim cimosato (selvedge) su telai a navetta, un particolare modello di telaio creato dalla popolare azienda Toyoda Automatic Loom Works, che più tardi cambierà nome in Toyota. Non tutti sanno che, prima di essere una casa automobilistica, il famoso marchio giapponese era specializzato nella produzione di macchinari tessili.
https://it.oneblockdown.it/blogs/archive/denim-history-japan-levis-evisu-osaka-five- 2 tokyo-samutaro-editorial?redirect=true&shippingCountry=IT
shaftjeans.it
Il rispetto della materia prima e la valorizzazione delle tecniche di produzione rendono ogni singolo paio di jeans un capo unico. Tutto è curato nei dettagli: dalla colorazione della tela, effettuata in corda con uno speciale colorante naturale detto indigo (indaco), al selvedge, processo che prevede che la stoffa sia tagliata una sola volta. Per certificare l’utilizzo di questo processo produttivo è spesso inserito un filo di un colore diverso lungo la cimosa, ovvero la cucitura interna della gamba.
okayamadenim.com
kuroki Co., Ltd
Un’altra importante fase del processo produttivo è il lavaggio della tela. Il denim giapponese è detto raw (grezzo) perché, diversamente dalle suev controparti occidentali, non subisce alcun trattamento dopo il confezionamento del capo, se non un lavaggio al vapore.
Anche il peso del capo è da considerarsi importante, 40%-50% in più rispetto a quello occidentale. Più il jeans è pesante, più la tela è resistente, anche se più rigida. Gli artigiani giapponesi si fondano sul concetto di Takumi, una parola giapponese che descrive l’artigianato come uno stile di vita, quasi una filosofia. Ciò significa che tutte le lavorazioni fatte rappresentano un rituale da cui nascono capi e accessori unici al mondo.
Un concetto simile a quello di Takumi lo possiamo trovare nella letteratura occidentale in Goethe, che, nella Teoria dei colori (1810), afferma che le grandi civiltà antiche
[…] creano le loro opere per amore delle opere in sé, per il concetto devoto che ne hanno, senza curarsi dell’azione che esse ingenerano, mentre i popoli colti devono fare i conti con un’azione veloce e istantanea, per conquistarsi applauso e denari.
Nelle parole di Goethe i «popoli colti» sono quelli che per primi hanno conosciuto l’industrializzazione.
Tutte queste prestigiose e locali lavorazioni si riflettono sul prezzo che è da considerarsi importante; infatti, un paio di jeans giapponesi si aggira generalmente tra i 200 e i 600 euro. Negli ultimi anni sta aumentando molto la popolarità dei prodotti in denim giapponese, infatti sono aumentati notevolmente i negozi che li ospitano in tutto il mondo.