Sibilla Aleramo e Dino Campana, si può chiamare amore?

IRENE FORMENTINI

L’amore è quel sentimento che stravolge spesso le nostre vite e che si può ritrovare in mille forme dalla musica alla poesia, dall’arte alla letteratura ed è proprio per questo che a volte facciamo fatica a definirlo. Le sue sfaccettature ci confondono, ci ammaliano, ci addolciscono, ci incantano e ci fanno stare bene però spesso tendiamo a considerare amore ciò che proprio amore non è.

Sibilla Aleramo, pseudonimo di Marta Felicina Faccio, è stata una scrittrice, poetessa e giornalista femminista italiana vissuta tra il 1876 e il 1960. È ricordata per il suo romanzo Una donna, uno dei primi libri femministi apparsi in Italia. É di stampo autobiografico e racconta la sua vita partendo dagli anni della fanciullezza agli anni della maturità.

Sibilla Aleramo non ha una vita facile, si ispira agli ideali di forza ed indipendenza del padre giudicando i caratteri deboli e sottomessi della madre temperando così il suo carattere in modo da diventare una tra le prime femministe italiane. Nella fabbrica in cui lavora, a soli 14 anni, incontra un giovane collega con cui inizia una storia d’amore che sfocia in un matrimonio infelice in cui Sibilla verrà maltrattata portandola a tentare il suicidio.

Dopo numerose violenze subite dal marito, la donna si rende conto che deve poter esprimere anche al di fuori della famiglia la sua identità, perciò, lascia casa e torna a volare libera ed indipendente.

Nell’estate del 1916 Sibilla Aleramo incontra Dino Campana un poeta italiano anche lui dall’animo alquanto tormentato.  Attorno ai 15 anni gli vengono diagnosticati i primi disturbi nervosi che crescendo si acutizzano il poeta decide così di esprimere il suo male viaggiando, fuggendo e dedicandosi alla poesia. La poesia fu il motivo per il quale incontró Sibilla Aleramo.

I due cominciarono un fitto scambio epistolare in cui si dichiaravano amore con poesie appassionate adornate con parole dolci degne di due poeti. Questo amore però non durò molto, poco dopo il loro primo incontro iniziarono una serie di violenze l’uno verso l’altra scatenate da una gelosia possessiva e da un’ossessione malata verso i comportamenti e gli atteggiamenti che avevano nei propri confronti.

Sibilla scriveva disperata alla sua amica Leonetta Cocchi Pieraccioni: 

“Leonetta, non so se vedrai Campana. Dopo averlo ritrovato, e con lui qualcuna delle nostre ore più belle, stanotte s’è di nuovo abbandonato al suo delirio d’odio e questa volta credo non ci ritroveremo più.”

O ancora:

“Rose calpestava nel suo delirio e il corpo bianco che amava. Ad ogni lividura più mi prostravo, oh singhiozzo, invano, oh creatura! Rose calpestava, s’abbatteva il pugno, e folle lo sputo su la fronte che adorava. Feroce il suo male più di tutto il mio martirio. Ma, or che son fuggita, ch’io muoia del suo male!”.

Sibilla ormai stanca delle ripetute violenze da parte di Dino dovute anche ai suoi problemi psicologici decise di farlo internare in un manicomio nella speranza che tutto ciò potesse finire. Con questo gesto Sibilla sancisce una fine alla loro storia e viene criticata anche da noi tutt’oggi ma siamo sicuri di non sbagliare sancendo questo giudizio verso Sibilla Aleramo? 

Il loro amore viene descritto come passionale e tempestoso, un’alternanza di momenti di passione e momenti violenti. Ma siamo sicuri di poterlo chiamare veramente amore? É amore ciò che ti rovina e di distrugge? É amore la violenza? Può esistere un amore violento? Non stiamo forse romanticizzando la violenza in questo modo? Questi fatti ci devono insegnare che l’amore non deve fare male, per amore non bisogna soffrire fisicamente e neanche psicologicamente ma soprattutto ci devono insegnare che il nostro amore non deve essere solo per gli altri, deve essere anche per noi stessi, solo ciò ci può salvare e un esempio é proprio Sibilla Aleramo.