L’italiano ha fatto l’Italia

IRENE FORMENTINI

Lingua come fondamento culturale di una civiltà 

Fin dai tempi antichi abbiamo sempre visto come la lingua fosse parte caratterizzante di ogni civiltà: ogni popolo comunicava a suo modo con la propria lingua e il proprio dialetto, dando vita ad una personale cultura fondata su determinati costumi. La storia ci insegna, quindi, che la lingua è alla base delle nostre tradizioni e del nostro modo di rapportarci alla vita e alle persone; spesso un motivo di guerra e avversità tra civiltà è stato la mancanza di compatibilità dovuta anche alla fatica riscontrata nel comunicare. Un esempio può essere quello dei Padri pellegrini che, sbarcati in America, si sono violentemente scontrati con i nativi di quel continente sconosciuto, dando vita a secoli di maltrattamenti e schiavitù, il cui motivo era la sicurezza degli Europei di avere a che fare con animali retrogradi e non con persone appartenenti ad una diversa cultura.

Lo scontro tra lingue

I Padri pellegrini sono stati sicuramente un esempio di come fin troppo spesso la mancanza di comunicazione a causa di lingue differenti abbia portato ad anni di sofferenze subite da persone assolutamente innocenti. Se restringiamo un po’ la zona geografica europea e mandiamo avanti la linea del tempo, possiamo trovare un altro, ormai passato, esempio di mancanza di comunicazione tra popoli nella nostra cara Italia. La mancata e tarda unità d’Italia è collegata infatti all’insieme di culture differenti presenti nel nostro stato da secoli e di conseguenza all’enorme quantità di dialetti che hanno popolato il paese. Da questi motivi nascono quelle scissioni che si possono trovare ancora oggi in Italia, magari ridotte rispetto ad un tempo, come quella tra Nord e Sud,

Il “problema” italiano 

I tanti dialetti e le molteplici radici culturali hanno fatto dell’Italia uno Stato eterogeneo e pieno di risorse, ma, allo stesso tempo, hanno anche causato problemi di unità. Anche dopo l’ufficiale unità d’Italia il popolo italiano si è reso conto della continuità del “problema” di disomogeneità dello Stato. Questo fatto è diventato così prorompente che anche la letteratura ne ha fatto un pozzo di risorse al quale ispirarsi per decenni. Gi esempi più notevoli sono ovviamente Dante, con la sua Divina Commedia, e Manzoni, con i Promessi Sposi. Questi due autori hanno sentito la necessità di un’unità linguistica, oltre che politica, e hanno, quindi, “battezzato” il volgare fiorentino come lingua ufficiale delle loro opere, in modo da far arrivare queste, ed indirettamente il loro messaggio, a tutta la popolazione italiana. La lingua ha poi anche subìto un processo di semplificazione attraverso la famosa attività di Manzoni dello “sciacquare i panni in Arno” compiuta apposta per arrivare a più persone possibili. 

La letteratura ha, quindi, contribuito a trovare un’unità che è sempre stata difficile da realizzare, ma che allo stesso tempo è sempre stata il desiderio più grande degli italiani, basti pensare al sentimento di scontentezza che si è diffuso dopo l’unità d’Italia quando il popolo ha realizzato che l’effettiva unità tra le “culture” non era avvenuta. Il caso italiano ha dimostrato, quindi, quanto la lingua sia effettivamente alla base della cultura e della civiltà di un popolo.

Il messaggio d’inclusione

Il caso italiano ci ha fatto capire che l’unità è dovuta ad una condivisione e ad una necessità d’inclusione. Alle persone di tutti i popoli piace sentirsi parte di una nazione o anche solo fi un gruppo ed è poi su questo che si basa l’inclusione. 

Quante volte abbiamo sentito di uomini e donne con origini straniere, venuti in Italia per lavorare o studiare, lamentarsi della mancata inclusione a causa del colore della loro pelle o del loro italiano zoppicante? 

Quante volte un nostro amico o parente ha pronunciato la frase “però lo parli bene l’italiano” di fronte ad una persona apparentemente straniera ma in realtà nata e cresciuta in Italia? 

Io tante, forse troppe, e di fronte a questi casi un po’ di sconforto lo provo sempre, perché siamo restii di fronte a persone di altri Paesi, che, in realtà, stanno facendo di tutto per comunicare con noi e sentirsi parte dello stesso gruppo di individui?

L’inclusione avviene con la lingua, lo abbiamo visto in questi anni di storia e lo vediamo anche oggi fin dalle scuole elementari, però forse anche noi personalmente possiamo fare un piccolo sforzo, appartenere ad una cultura non significa escludere le altre. 

Mi viene in mente la mia amica ed ex compagna di classe Liza, una ragazza lettone che aveva deciso di venire in Italia per avere una maggiore preparazione scolastica per il suo futuro. Lei ha fatto di tutto per imparare la nostra lingua e noi, suoi compagni di classe, abbiamo fatto di tutto per includerla ed aiutarla al meglio; forse è questo che basta: la lingua è importante e fondamentale per la coesione di un gruppo di persone, ma, alla fine, il principale “lavoro” lo compiamo noi venendoci incontro a prescindere da chi siamo, da dove veniamo e da che lingua parliamo.